sabato 2 luglio 2016

Tavola Calda: << Così è se vi pare>>, intervista al pittore EdgaR/Paolo Monico


La pittura segue un sentiero tutto suo, e sarebbe meglio lasciarla libera, indomabile. Il flusso creativo, se lasciato scorrere, ribalta gli schemi  e se la pittura, poi, si tocca con l’anima genera una miscela interessante. È il caso di EdgaR/Paolo Monico, che ritorna all’attivo con due mostre, o meglio, situazioni umane, in cui la sua pittura e la sua interiorità si incontrano mettendo in luce emozioni, suggestioni, frammenti di vita e riferimenti artistici imprescindibili. EdgaR offre spazio e tempo alla sua creatività, rendendola dinamica e attiva, dandole il compito di dilatare il più possibile l’orizzonte della coscienza. Infatti, come diceva lo psicanalista e scrittore Aldo Carotenuto  "La creatività è la risposta che apre".
Ma ora la parola a EdgaR.

La pittura e l’abbigliamento. Cosa hanno in comune queste due situazioni? Come la pittura, anche l'abbigliamento è una trasposizione di sé. Le vivo entrambi come opera d'arte, vita.

 Da dove hai tratto l’ispirazione per le tue ultime creazioni?
Come può uno scoglio arginare il mare? Filtro su tela, inonda la tela, tutto quello che mi sconvolge, nel bene e nel male, senza schemi o diktat. Viscere, anima.

Fluxus, futuro. Che cosa ti ha spinto a realizzarla? Dove si proietta la tua pittura?
Fluxus era o è un movimento artistico americano che teorizzava "niente è arte, tutto è arte". Un concetto che adoro. Fluxus è anche movimento, genera vita, futuro...In più sono esposte opere nuove, che non avevo ancora fatto vedere, per cui una specie di solco che segna il "dove sto andando". La mostra è ancora in corso, la ritengo molto significativa.

“Così è se vi pare” una mostra, un evento artistico, una situazione umana. Quale molla è scattata per dare vita a questo progetto e ad intitolarla in questo modo?
Mostra, situazione umana, hai colto nel segno. Il titolo nasce da un'opera realizzata appositamente per la mostra. Mi era ricapitata tra le mani una bozza di tre anni fa, l'ho trasportata su tela e non avevo chiaro cosa volessi dire veramente...ma mi piaceva una cifra...per cui ho pensato: "se vi piace è così, se no....." il passo successivo è stato pensare al titolo del libro di Pirandello (faceva più figo e acculturato...). Poi sembrava un titolo potente anche per la mostra, del tipo: "Io sono così, prendere o lasciare" C'era tutto di me, ho esposto Van Gogh, Lou Reed, L'ultima cena, Un altro Buddista, la sala prove dei Sex Pistols, il Duomo di Firenze, Never let me down dei Depeche Mode. Il visitatore poteva interagire con tutto questo, tra sacro e profano. Ma per me è tutto Sacro...

Quali influenze musicali e letterarie continuano a contaminare la tua pittura?
Spazio sempre. E’ tutto variabile, a 360 gradi. Mi sono innamorato di un pezzo di Nick Cave (Push the sky away) poi cose ipnotiche come Tricky e Edda non manca mai, ovviamente. A libri sto latitando un po', ma è un periodo. So solo che non posso prescindere da musica e lettura.


Ti vedremo ancora suonare con Edda in una situazione come quella del Cox18?
È stata una bellissima esperienza, sarebbe fantastico! Dovesse ricapitare, lo rifarei al volo.

Chi è Edda per te?
Quando facevo il liceo, era come una figura  "mitologica": amavo quello che scriveva e il modo in cui lo cantava. Lo sentivo, lo sento tutt'ora molto mio...Dopo averlo conosciuto, averci avuto a che fare, posso "solo" dire che è una persona di una sensibilità incredibile, un vero amico, a cui voglio un bene dell'anima.

Stefano Sacchetti

domenica 24 aprile 2016

Tavola Calda: VELOCE COME IL VENTO. Quando le corse toccano i sentimenti



Del trailer, rimane impresso soprattutto un urlo.

“Giulia de Martino! Vola!” Questo è il grido che si sente uscire dalla bocca di uno Stefano Accorsi, ad un primo colpo d’occhio difficilmente riconoscibile, che ha smesso i panni del belloccio fedifrago in carriera.
Qui ne veste altri decisamente opposti e sicuramente sorprendenti, dando vita ad un personaggio multiforme, Loris de Martino.

Loris de Martino, vecchia gloria del rally, ora ridotto allo status di tossicodipendente dopo una vita (come si evince da alcune fasi della narrazione) di successo, talento, gloria e frustrazione provocata da un oblio prematuro e neanche troppo voluto.
“Giulia de Martino! Vola!” è l’urlo di chi, nonostante il baratro, decide di rimettersi in gioco (in pista), nello specifico aiutando la sorella Giulia (Matilda de Angelis), astro nascente del rally ed il fratellino Nico, rimasti orfani e a rischio di sfratto. Il padre, infatti, aveva ipotecato la casa con lo sponsor per garantirsi un finanziamento con il team.

Il regista, Matteo Rovere, incasella emozioni e personaggi sfaccettati, sotto un cielo emiliano romagnolo contornato da rombi di motore, adrenalina, plastica bruciata, rischi e vittorie, vittorie contro il limite che rendono Veloce come il vento un film di spessore sotto vari punti di vista, fruibile sia da chi è appassionato di motori e da chi predilige un approccio intimista.

È un omaggio ad un campione del rally, famoso negli anni ottanta, Carlo Capone, funambolo del volante, troppo presto dimenticato, caratterizzato da un presente faticoso e difficile.

Il film gli rende omaggio attraverso la figura di Loris e con una polaroid nel titoli di coda. 
Un film dedicato al riscatto e alla voglia di rivincita, per anime perse che si vogliono ritrovare o per chi non ha mai smesso di superare i propri limiti.


Stefano Sacchetti

domenica 15 novembre 2015

Tavola Calda: Radio Nuova York! Intervista a Ricky Russo


Si definisce “the Most Enthusiastic man in New York”, ed ha  i suoi buoni motivi per farlo .  Lo percepiamo come The Most Enthusiastic man in generale ed abbiamo altrettanti buoni motivi per farlo. Nato a Trieste ma trapiantato a New York, cresciuto in mezzo a contaminazioni musicali di ogni genere Ricky Russo è un naturale diffusore di energia vitale. Ecco la sua ultima impresa: ha fondato, insieme ad Alberto Polo Cretara, una webradio con un nome dal sapore cinematografico, Radio Nuova York, concepita come la radio di tutti gli italiani che per varie ragioni sfiorano la Grande Mela o vi si trasferiscono del tutto e sono intrigati dall’hip hop e dalla musica indipendente. Se necessita qualche definizione si può dire che Ricky è conduttore radiofonico, deejay e scrittore con alle spalle un libro, Per Bon, For Real, un diario dal sapore punk sulla sua esperienza newyorkese scritto interamente in triestino. Insieme alla sorella Elisa, autrice del libro Uomini (monografia su Edda e la scena rock milanese) e giornalista, ha condotto il programma radiofonico The Russos In Orbita, trasmesso da Radio Capodistria e diffuso in streaming grazie alla rete. A New York ha intenzione però di continuare ad assorbire le vibrazioni e di diffonderle senza fermarsi, con il suo motto di sempre. In una parola: Daghe!

Come è nata l’idea di Radio Nuova York? Come si articola il progetto?
Radio Nuova York nasce da un’idea di Alberto Polo Cretara, pioniere dell’hip hop italiano e proprietario di una catena di pizzerie nella Grande Mela, Farinella Bakery. Polo mi ha coinvolto dall’inizio. Così, dalla scorsa primavera, abbiamo sviluppato il progetto assieme. Ci siamo finanziati attraverso una campagna di raccolta fondi su MusicRaiser e grazie a due eventi live, al Bowery Electric nell’East Village, in cui si sono esibiti alcuni artisti italiani importanti come Clementino, Rocco Hunt, Tre Allegri Ragazzi Morti,  Frankie Hi Nrg Mc, Roipnol Witch e Chiara Vidonis. Gli studi dell’emittente – ormai soprannominati ironicamente di “CinaCittà” – si trovano in un appartamento di Chinatown, a due passi da Little Italy e dalla Bowery, la via del rock’n’roll dove un tempo sorgeva il leggendario CBGB. Radio Nuova York vuole diventare un punto di riferimento per gli italiani a New York, soprattutto per quelli più giovani, quelli che sono arrivati in città negli ultimi anni. Lo scopo è di promuovere la cultura, lo stile e la musica italiana negli Stati Uniti, ma anche di raccontare “la città che non dorme mai” ai nostri connazionali, sparsi per il mondo. Saremo presto in onda, da qua: www.radionuovayork.com.

Domanda banale, che forse in molti ti rivolgeranno: Come mai hai deciso di ripartire a livello creativo, umano e lavorativo proprio da New York? Che cosa ti affascina di più della realtà newyorkese?
Sono cresciuto con il mito di New York. Nel 2012, ero piuttosto depresso e non vedevo grandi possibilità di svolta in Italia, così ho rischiato tutto e mi sono trasferito nella Grande Mela. Qui sono proprio rinato, ho trovato nuovi stimoli e opportunità. A New York, infatti, conta solo il futuro, il cielo è il limite e i sogni sembrano sempre raggiungibili.

Conoscerai artisti di vario genere, girando per locali. Come viene vissuta la dimensione artistica? Si respira un clima “da casta” oppure è sufficiente avere talento per potersi esprimere?
La grande differenza con l’Italia è che qua la gente ti ascolta, ti valuta seriamente e ti dà sempre una chance. Non importa di chi sei amico, chi ti ha raccomandato, per chi voti, con chi stai, di che religione sei, qual è il tuo orientamento sessuale, quanti anni hai ecc... Conta il tuo talento, la tua dedizione, la tua passione, la tua professionalità…

Musicalmente che aria si respira? In quali musicisti o festival degno di nota sei incappato?
New York è il centro del mondo, o almeno vivendoci ti sembra che lo sia. La musica è ovunque, dal Madison Square Garden alla Subway. Considera che nella Big Apple è nato l’hip hop, il punk-rock, la disco…  L’avanguardia convive con il mainstream. Ogni sera hai l’imbarazzo della scelta se vuoi andare a un concerto. Io amo tutta la buona musica, quindi mi capita di frequentare ambienti molto diversi. Spesso ho incrociato per strada alcuni miei miti, su tutti Mick Jones dei Clash e David Byrne dei Talking Heads.

Passiamo al libro: Soddisfatto dell’esperienza di Per Bon, For Real?
Tantissimo. Il libro, nato in una maniera così spontanea e naif, mi ha portato fortuna, buon karma. E seppur scritto in triestino, mi ha messo in contatto con persone e situazioni davvero interessanti. Non esagero se dico che mi ha aperto tante porte anche a New York.

Come ti vedi nel ruolo di scrittore? Ci sarà un secondo libro?
In famiglia, la vera scrittrice è mia sorella Elisa, autrice del libro sui Ritmo Tribale e sulla la scena rock milanese, “Uomini” (Odoya). Lei è un talento assoluto e naturale. Ha tecnica, cuore, visione e disciplina. La mia scrittura è molto punk-rock. Un mio secondo libro non è previsto al momento, però un mio racconto inedito, “El Funky Barboncin” è stato appena pubblicato nella raccolta “Andare in Cascetta” (A Morte Libri), in cui ci sono alcuni scrittori che stimo tantissimo, come Maurizio Blatto, Gianni Miraglia, Andrea Valentini, Manuel Graziani e Vittorio Bongiorno.

Che cosa ti ha spinto a lavorare nel mondo della Radio e del giornalismo musicale? Quando hai iniziato?
L’amore assoluto per la musica mi ha spinto nel mondo della radio e del giornalismo. Ho iniziato quando avevo 16 anni a Radio Fragola, emittente comunitaria che trasmette ancora oggi dall’ex Ospedale Psichiatrico di Trieste. Quell’esperienza fu una rivoluzione, uno shock! Fu tracciare un nuovo sentiero, cambiare direzione, andare contro la noia, l’ipocrisia, il futuro già scritto e la mediocrità!


Domanda inevitabile: Che cosa è la radio per te?
Uno stile di vita. Un modo di mettere in circolo energia positiva, musica, idee, buone vibrazioni.  Come cantavano i Bad Brains: Positive Mental Attitude.

Quali sono i libri, i film, i dischi e i musicisti che hanno avuto maggiore influenza su di te come persona?
Domanda da un milione di dollari. Troppi per citarli tutti. E sicuramente mi dimenticherò un sacco di roba. Ci provo. Nella lista dei miei preferiti: Pier Paolo Pasolini, Tiziano Terzani, Enzo Biagi, Indro Montanelli, Andrea Pazienza, Jack London, Jack Kerouac, Lester Bangs, Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Kurt Sutter, Federico Fellini, Joe Strummer, Iggy Pop, Henry Rollins, Ramones, Elvis Presley, Johnny Cash, James Brown, Toni Bruna, i Ritmo Tribale & Edda…

Trieste/New York. Quale delle due città è più a misura d’uomo?
Trieste è la città del Cuore, degli affetti, delle radici, dei luoghi,  delle suggestioni e dei profumi stampati nell’Anima. New York è la città dell’Azione, il posto che mi fa sentire vivo! Pasolini, dopo esserci stato la prima volta nel 1966 scrisse: “New York non è una evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent'anni”.

Ultima domanda (a cui puoi anche disubbidire): Puoi riassumere in quattro punti la tua filosofia di vita?
La mia filosofia di vita è “DAGHE!”. Daghe!: dacci dentro, ma elevato per mille.Lincitamento più incitamento triestino. You only live once!


Stefano Sacchetti
(Occidente)

giovedì 24 settembre 2015

Tavola Calda: #VorreiPrendereIlTreno. Intervista a IACOPO MELIO



Chi si batte per le questioni di principio, ovvero migliorare la quotidianità di ogni singolo individuo, anche compiendo un atto estremamente concreto, come quello di abbattere le barriere architettoniche e lo fa con determinazione inserendo anche spunti creativi, è da inserire nell’elenco delle rock star.

Iacopo Melio, studente e giornalista freelance, attivista per i diritti dei disabili a pieno titolo, ha dato vita alla onlus Vorrei prendere il treno, per garantire alle persone con disabilità un accesso al mezzo di trasporto che, per eccellenza, dovrebbe essere  privo di barriere architettoniche. Il tutto con il sorriso e la battuta pronta.
Ironia e vitalità, gli ingredienti migliori per cambiare le cose.

Perchè quelli, almeno, non conoscono barriere.

Vorrei prendere il treno. Un’iniziativa dal nome eloquente, che lascia il segno. Puoi spiegare come nasce e di cosa si occupa questo progetto?
Nasce da una mia risposta all'ex ministro dell'istruzione Maria Chiara Carrozza, che scrisse su Twitter di essere in viaggio per Firenze su un treno meraviglioso, e di prendere il treno come tutti. Così le risposi facendole notare che i nostri treni purtroppo non sono quasi mai meravigliosi, soprattutto per noi disabili che raramente troviamo attrezzati. Allora decisi di prendere spunto da quello scambio di battute per scrivere un articolo sul mio blog: "Sono single per forza, non piglio l'autobus!!" era il titolo. Volevo parlare di barriere ma in maniera ironica e divertente, facendo una sorta di appello alla politica affinché potessi prendere il treno non tanto perché, in un Paese civile e democratico, dovrebbe essere un gesto scontato e spontaneo, ma perché avevo voglia di viaggiare e innamorarmi su un mezzo pubblico incontrando la ragazza dei miei sogni, come in un film. L'articolo divenne virale e si creò una campagna mediatica spontanea... Tanto che ho deciso di fondare una onlus dal nome appunto "Vorreiprendereiltreno" con l'intento di sensibilizzare all'accessibilità.


Come fare per evitare le eventuali strumentalizzazioni da parte del mondo politico?
Sono in pochi quelli disposti ad aiutare per niente. Credo che se una persona ti aiuta in un progetto e porta a dei risultati concreti, sia giusto anche dar loro il merito e il giusto "ritorno" (ad esempio in visibilità). Il rischio di essere strumentalizzati a vuoto ovviamente è sempre alto, ma se uno non avesse fiducia e si chiudesse a riccio, per difesa, non combinerebbe sicuramente niente.

Che evoluzione pensi possa avere questa iniziativa?
Sicuramente #vorreiprendereiltreno è un ottimo canale per sensibilizzare. Siamo quasi a 1000.000 contatti social e abbiamo un'ottima risonanza mediatica a livello nazionale. Se sfruttata questa visibilità in modo positivo possiamo portare avanti dei progetti interessanti per abbattere concretamente le barriere del territorio: ovviamente in questo le persone devono essere completamente disponibili e partecipi, sostenendoci, tanto quanto le amministrazioni.

In che modo è possibile combattere il pregiudizio?
Semplicemente facendo vedere alle persone come stanno le cose, facendoli cioè entrare in determinati "mondi", per comprendere. La comprensione abbatte l'ignoranza, ed è solo da quest'ultima che nascono i pregiudizi. Quando qualcuno "sa", allora riesce a trattare le cose come devono essere trattate. Noi
di #vorreiprendereiltreno vogliamo parlare di disabilità nel modo giusto, secondo il mio punto di vista: ironico, solare, divertente e spudoratamente "normale". La compassione e la tristezza sono i peggiori atteggiamenti che si possano adottare nei confronti della diversità, e quindi i pregiudizi sarebbero in questo caso inevitabili.

Traccia un breve ritratto di quello che sei, con i tuoi desideri e le tue aspirazioni.
Ho 23 anni e studio Scienze Politiche a Firenze, indirizzo in "Comunicazione, Media e Giornalismo". Amo infatti l'arte ed ogni forma di espressione, in particolare la fotografia e la scrittura. Quest'ultima vorrei, in futuro, fosse anche il mio lavoro o almeno una parte di questo. Spero infatti di poter avere un impiego, un domani, che mi permetta di aiutare gli altri, che sia a livello sociale/politico o attraverso la comunicazione, fungendo da megafono per chi non viene ascoltato.

Quali sono i tuoi punti di riferimento culturali?
Musicalmente, ma soprattutto ideologicamente, i miei pilastri sono De André e Guccini. Don Gallo e Peppino Impastato restano i miei punti di riferimento per l'impegno civile e sociale, così come Falcone e Borsellino. Pasolini e Bukowski, infine, per la cultura anticonformista e per un certo anarchismo terreno.

Ci ha da poco lasciati Franco Bomprezzi, scrittore, giornalista e attivista in prima linea per quanto riguarda la questione della disabilità. Che ricordo hai di lui?

Franco è stato uno dei primissimi giornalisti ad aver parlato di me e #vorreiprendereiltreno, e forse l'unico ad aver "disegnato un quadro di me" assolutamente perfetto, comunicando cioè quello che ho sempre voluto trasmettere o fosse trasmesso. Ho avuto l'onore di scambiare con lui poche chiacchiere virtuali, ed è una delle cose che più mi fa male in vita mia... Avevamo progettato infatti di conoscerci di persona e sono certo avremmo potuto, insieme, realizzare tantissime cose meravigliose. Adesso non mi rimane che il suo esempio, fondamentale, e la voglia di poter in futuro almeno lontanamente avvicinarmi a ciò che lui è stato: un grande uomo, un immenso giornalista, e uno straordinario lottatore. "A muso duro" Franco!

Stefano Sacchetti 
(Occidente)

giovedì 10 settembre 2015

Tavola Calda: ESSERE ARMONIA. Intervista a LUCIANO PELLEGRINI

Il concetto di armonia rimanda subito a territori astratti, che lasciano spazio alla fantasia, al sogno di un’esistenza bilanciata, in equilibrio. Per molti la ricerca dell’armonia ha il valore utopico della  fuga dalla realtà, per altri, tra cui lo scrittore Luciano Pellegrini è l’immersione totale nell’essenza della realtà.  

A  lui la parola, a voi la lettura.



Luciano, è poeta, scrittore, critico letterario. Che cosa la spinge ad incanalare la scrittura in queste tre forme?
La mia spiccatissima e travolgente  sensibilità mi ha sempre portato oltre la quotidianità. Da qui, la ricerca personalissima in risposta alle vicissitudini e allo “status umano”. In questo senso, la mia poesia è rivolta alla condizione umana universale, la mia narrativa è sempre basata su problematiche delle persone disabili – oltre che su meditazione, filosofie varie e religioni - la mia critica infine punta all’aspetto dell’estetica nella poesia, nella  letteratura e nell’arte in genere: tenendo conto della cultura classica fino al romanticismo, dal simbolismo al surrealismo, dall’ermetismo alle forme espressive odierne.

Che cosa è per lei la scrittura?
Un’attività che coinvolge sensazioni, emozioni, desideri, ricordi, modi di pensare della persona. Essa è sempre in reazione a quanto accade nel corso dell’esistenza: momenti intensi, individualmente ricchi di significato – nel bene o nel male - che si tenta di “fermare” e  trasmettere in base alla propria capacità, sensibilità, corredo culturale e letterario.

Quando è avvenuto il suo incontro con la scrittura?
Durante le scuole superiori ho avuto coscienza di essere portato per le materie umanistiche nonostante facessi un Istituto Tecnico, come la Ragioneria. E in italiano mi trovavo a mio agio. Divoravo le antologie e durante le ricreazioni spesso mi ritrovavo a scribacchiare su un quaderno. Questo, non è sfuggito alla mia professoressa di italiano che ha voluto vedere e mi ha incoraggiato a continuare. Notando i suoi occhi commossi ho capito che potevo fare qualcosa in questa direzione. La passione è poi aumentata, ho pubblicato diversi libri di poesia, narrativa e saggistica, partecipato – spesso vincendoli – a premi letterari, mi sono laureato in Lettere con il massimo dei voti e lode nonostante lavorassi ed avessi famiglia. Da 30 anni faccio parte di giurie.

Quali sono i suoi punti di rifermento artistico/letterari?
A partire da Leopardi, passando per Baudelaire, Rimbaud ed i surrealisti, fino all’ermetismo per arrivare a Luzi e Sanguineti, che ho conosciuto personalmente. 

Ha fondato l’associazione <<L’Essere Armonia>>, ci parli dettagliatamente dell’idea che la sostiene.
“Nata nel 2000, La A.L.E.A. (Associazione “L’essere Armonia”) è un’associazione di promozione sociale - regolarmente iscritta nel registro regionale - che ha come scopo principale quello di divulgare  l’idea di vivere senza barriere mentali e comportamentali, le quali, prima ancora ed in maniera più incisiva, di quelle fisiche ed  architettoniche, ledono il benessere individuale e collettivo. E’ attiva in vari progetti anche in collaborazione con altre realtà associative ed enti, nei settori della disabilità, artistici e letterari.  La ALEA è sempre stata all’avanguardia su molti fattori. Ad esempio diversi anni fa tutti parlavano di barriere architettoniche e venivo guardato strano perché  affermavo: “La barriera più grande è culturale, cambiamo modo di pensare e di comportamento e automaticamente scompariranno quelle architettoniche!”. Oggi invece è un concetto comune, accettato e compreso.

Nel 2006 ha prodotto e interpretato un fotoromanzo, dal titolo La scommessa, incentrato su diverse problematiche delle persone con disabilità. Che ricordo ha di questa esperienza?
Fu un lavoro lungo, meticoloso e straordinario, portato avanti con passione e consapevolezza. Io e i miei amici volendo dare segnali forti a molti pregiudizi incombenti su persone disabili lo vedemmo come un efficace modo per presentare certe problematiche. Così, visto che, in Italia si legge poco, trasmutammo un mio racconto, consapevoli che una immagine esprime più di molte parole. Fra fare le foto, assemblarle, metterci dialoghi e didascalie c’è voluto un anno di lavoro.

Come vede l’introduzione della figura dell’assistente sessuale? In che modo si riusciranno ad abbattere i pregiudizi che ruotano attorno alla dimensione della disabilità?
Direi che la creazione (finalmente) di questa figura è un passo avanti contro certe mentalità intrise di pseudo religiosità e tortuoso moralismo. Mi sono sempre messo in  prima fila in questo. Le persone disabili hanno desideri, tendenze e passioni simili a quelle dei cosiddetti normodotati. Oggi, nonostante si viva in una società definita civile, è ancora inconcepibile – per molti - il binomio disabilità e amore o sesso: nel senso che quando una  coppia è formata da una persona disabile ed una normodotata il pensiero comune non porta a pensare ad un rapporto d’amore  bensì “E’ ricco/a quello/a”, “E’ un/a parente, fratello, sorella”, “E’ un/a badante o un/a volontario/a”. Credo comunque che con un profondo e moderno senso civico condiviso tra il mondo del volontariato, istituzioni e famiglie si possano davvero fare grandi e concreti passi avanti. Tuttavia, per esperienza, so che il più delle volte il problema proviene dalla famiglia stessa. Sono i famigliari a non avere quella apertura mentale che permette alla persona disabile di non sentirsi tale.

Che consiglio si sente di dare alle persone che non accettano la propria disabilità?
Penso che non si debba accettarla, ma usarla per fare qualcosa per sé e gli altri. Non stare a piangersi addosso o aspettare che arrivi quello che si vuole perché è dovuto. Assolutamente, no! Credo che sia meglio cercare  di essere sempre se stessi, senza avere timore di quelli che sembrano limiti. Ognuno  è un’entità diversa, con dei pregi da valorizzare. E con questi, insistere per realizzarsi, anche se si  va contro famiglia o altra istituzione. Io, d’altra parte, se avessi dato ascolto a chi mi stava attorno, non mi sarei diplomato, non mi sarei laureato, non avrei scritto libri, non avrei lavorato, non mi sarei sposato, non avrei avuto figli e poi non mi sarei separato,  ecc.  

Nella sua biografia si nota un interesse per le Filosofie orientali. Che rapporto ha con quel tipo di discipline?
E’ argomento di vitale importanza per me. E infatti sono sempre stato attratto da yoga, meditazione, Tantra, Reiki (di cui fra non molto prenderò il livello di Master), ecc.. Frequentando Padre Antony (un frate indiano - che emanava una energia straordinaria - che teneva incontri di meditazione a Bombay ed Assisi) e soprattutto col lama tibetano Ngan Tzon Tompa ho sviluppato una serie di meditazione adatte ad ogni tipo di disabilità. Penso che “Non dovrebbero essere le persone ad adattarsi alle tecniche di meditazione, bensì le tecniche ad adattarsi all’individuo”. Questo perché ogni individuo è unico e risponde in modo diverso nella pratica. Inoltre, il mio interesse per le filosofie orientale, insieme alle mie esperienze si correlano alla mia attività culturale ed artistico-letteraria.

Occidente



martedì 8 settembre 2015

Tavola Calda: IL NOME SEGRETO. Luciano Pellegrini. Un viaggio verso l'armonia

<< Il tuo sistema nervoso è uno strumento particolarmente ricettivo delle vibrazioni sottili della vita (…): Tutte le tue sensazioni
si amplificano a dismisura: guardi un bel panorama o un romantico tramonto? Tu voli! (…)>>

Con queste parole il guru Francis descrive la situazione di Luciano, protagonista di una storia emblematica e portatore di una testimonianza radicale.

Ci sono vite che si potrebbero definire (correndo il rischio di risultare superficiali) Testimonianze inconsapevoli, perché ci sono persone che con la loro stessa vitalità, la loro energia sfavillante lasciano una traccia incisiva e notevole, che, come un solco, denota il loro straordinario e forse, inconsapevole, carisma. Un carisma dato dalla scoperta del proprio centro, frutto di un percorso fatto di improvvisi abbandoni di certezze  ma anche di impensabili stati di gioia raggiunti una volta in cui si è arrivati a toccare un briciolo della propria unicità.

Il Nome Segreto è un libro che parla proprio di questo, della scoperta di sé attraverso una chiave di lettura ben precisa, gli occhi e le percezioni di un giovane con handicap travolto dalla potenza dell’amore e della poesia.

Edito nel 1999 presso le edizioni Guerra, è il primo romanzo di Luciano Pellegrini, poeta  e studioso di filosofie orientali, fondatore dell’associazione culturale L’EssereArmonia, il cui scopo è quello di abbattere le barriere architettoniche mentali che ancora attanagliano la sfera della disabilità dal punto di vista culturale e antropologico, un settore in cui gli stereotipi sono difficili da estirpare.

Il Nome Segreto è un vero e proprio  manuale di self help sotto forma di romanzo, in cui si intersecano diverse parole chiave. Parole come Meditazione, Amore, Tao, Guru, Coppia.

Il giovane poeta si inoltra nella ricerca del proprio centro, aiutato da Marina, una ragazza con un passato turbolento, sintonizzata però sulle sue stesse frequenze.
Marina invita Luciano a compiere un lungo viaggio che raggiunge e supera i limiti del quotidiano fatto di noia, ripetizione, aridità, attraverso un amore totale, eterno in potenza, in cui due anime si intersecano e si completano, oltre la realtà, oltre i corpi,  in attesa di una dolce armonia.


Un libro in grado di gettare “sottili ma forti semi in chi lo legge” ( come recita la quarta di copertina), che rende il lettore disponibile a dilatare i propri orizzonti, trasportandolo in una nuova dimensione oltre il proprio punto di vista.

Occidente

venerdì 29 maggio 2015

Cinema VERO: Mad Max - the Fury Road





Questa volta, contrariamente al costume tipico di questa rubrica, non parleremo di vecchio cinema che fa amaramente rimpiangere i bei tempi andati; bensì, parleremo di nuovo cinema che FA amaramente rimpiangere i bei tempi andati (almeno secondo me).

Raramente ho visto un effetto simile per questo film: UNANIMEMENTE acclamato dalla critica, con isolatissimi casi di recensione critiche (ovviamente scartando i cazzari che ne hanno sparlato per partito preso e per sperare di incrementare le visualizzazioni del proprio blog) il film ha in effetti altre-sì riscontrato un pressoché unanime riscontro dal pubblico.

Sono convinto che si tratti di una pellicola eccellente; il tempo ci dirà se può andare oltre. Mi permetto però di dire che diffido dell'unanimismo, sempre. Così sinceramente dopo un po' mi stonavano le lodi sperticate ricevute dal film, anche da firme eccellenti del settore.
Non sto a riprendere tutto, già letto mille volte; mi limito a porre un paio di puntini sulle i, giusto per la precisazione.


* Max senza Max?
Tom Hardy si è evidentemente applicato per interpretare il primo personaggio celebre di Mel Gibson, ma oggettivamente oltre un certo po' non può andare. Si consideri che è un
personaggio taciturno e scontroso, e non è una passeggiata riprenderlo con 4 battute. Dopo 30 anni. Da rivedere.

* Troppa azione?
Il pomo della discordia. Oltre metà film è costituito da inseguimenti, avevate mai notato che in realtà in quelli vecchi NON è così? "The Road Warrior" (il secondo, per il loggione) si chiude con un memorabile inseguimento (con la prima blindo-cisterna, tanto per dire) ma sì e no un 30% del film è basato su scene d'azione. Quindi, anche con soluzioni visive eccellenti, il ritmo è davvero tanto tanto alto, COME nella prassi degli anni 2000. Purtroppo. La qualità dell'azione resta eccellente, ma l'aspetto quantitativo segna un altro punto di differenza inevitabile dai vecchi tempi. 

* Troppe donne?
Questa è una vaccata, ma l'ho letta. In tutti i film della serie i ruoli femminili sono importanti, e le donne hanno una grande dignità (e più).

* NON (ripeto NON) guardate questo film se
Siete sensibili. La scena fulcro del film è di una crudeltà assoluta, come solo Miller sa fare. Questa è forse un'osservazione paternalistica, ma vale la pena farla.

* Se non vi siete visti la trilogia originale?
Il mio consiglio è di non guardare il film. Davvero. Vi perdete il senso della storia. Se poi i film originali non vi piacciono, motivo in più (condizione sufficiente ma non necessaria)
perché questo non vi piaccia, al 90% dei casi. 

* E Interceptor? (il primo della trilogia originale, ndr)
E' stato paragonato a questo in chiave diminutiva del medesimo.
Appartengo al numero di quelli che ritengono Interceptor un film assolutamente ECCEZIONALE. Che pure ebbe un clamoroso successo, all'epoca. Eppure raffrontarlo a questo film non ha senso, in mezzo ci sono gli altri due che hanno comunque fatto storia: un'altra storia, però, in molti sensi. Ma qui si riprende il secondo (non a caso *mini-SPOILER* è anche tatuato sulla schiena di Max, a inizio film, dai figli di guerra).

* Immortan Joe
Personaggio eccelso, ritroviamo l'attore che interpretò Toe Cutter in Interceptor ... ma la chicca è che si tratta di personaggi caratterizzati in modo ben diverso. Seppure, e qui è il bello, nella fantastica continuità della follia illuminata dei cattivi di questa saga. Eccellente. Per approfondimenti: posso parlare del solo personaggio di Toe Cutter per un paio di settimane. Molto di più della vecchia saga. Contattatemi ma prendete ferie prima. Per conferma: vedasi lo pseudonimo che uso da anni in questo blog.

* Le vere pecche
1. Con questo budget e 30 anni dopo non è possibile rifare dei meravigliosi B-Movie anni '80 quali erano Interceptor e Road Warrior. E' un'osservazione imprescindibile.
2. Il finale. Sempre Interceptor e The Road Warrior sono caratterizzati da due finali di quelli che ricordi per decenni. Questo no: ha un finale eccellente, ma non oltre.

* Giudizio complessivo
Eccellente, davvero; rivisto, merita di più. Per sapere se sarà nella mia top ten tra qualche anno, serve aspettare qualche anno. Ne riparleremo.
Per quasi tutti quelli con cui ho parlato, risolleva le sorti del cinema d'azione contemporaneo: credo di sì, però devo aggiungere che il cinema d'azione contemporaneo quasi non lo guardo ...

* L'unico rimpianto
Non averlo (per ora) visto in originale. Pazienterò, il minimo indispensabile però.

Si parla già di un seguito, che mi riporterà al panico totale di prima di aver visto questo. Lo affronterò alla maniera suggerita in The Fury Road: sperare è sbagliato.

Buona vita a tutti!

Toe Cutter