mercoledì 3 dicembre 2014

Tavola Calda. FIORI DAL LIMBO, OVVERO LE ALI SCELTE PER VOLARE. INTERVISTA A VERNER


La prendo larga: i compiti non piacciono a nessuno ma a volte capita di doverli svolgere anche se non si vorrebbe. 

I compiti dell’esistenza, poi, a volte sono fastidiosi.

L’arte, in teoria, dovrebbe avere il compito di ampliare i limiti della coscienza. Questa frase è già stata pronunciata in diversi ambiti, ma credo sia utile farla diventare un mantra. 

I cantautori, nello specifico, hanno provato varie volte ad espandere la coscienza, parlando di realtà sociale o di realtà quotidiana, che dir si voglia, dando vita ad una delle forme d’arte più interessanti del secondo novecento. Vero.

Con il passare del tempo però il loro discorso si è attorcigliato nella tela della retorica e ha confuso il parlare del proprio ombelico con il condividere le proprie emozioni.

Fortunatamente però si trova in giro ancora qualcuno che si pone l’obiettivo di opporsi a questa situazione, nei fatti, dando vita ad un’opera di grande impatto.

E’ Gianandrea Verner Esposito, che non più di un mese fa ha pubblicato un album cantautorale di spessore: Fiori dal limbo (La Pupilla Records). Lirico, umano, caldo, acustico ed emotivo. 

Verner è riuscito ad impastare le proprie emozioni fondendole nello spazio d’aria che rimane tra il testo e la musica, originando canzoni in grado di contattare la pancia di chi si mette in ascolto.
Sono canzoni che fanno da eco al suono del proprio stomaco e tentano di scalfire la zona grigia che si insinua nei rapporti interpersonali. Senza retorica, con profondità.

A lui la parola.

Partiamo dal titolo: Fiori dal limbo. Un titolo particolare, evocativo. Limbo è un concetto che rasenta anche l’ambito religioso. Come mai hai deciso di intitolare così questo album?
Mi interessava molto di più l’aspetto esistenziale del limbo che quello religioso. Non è stata una scelta facile, temevo che “fiori dal limbo” suonasse etereo e pretenzioso, ma era il titolo che meglio rappresentava queste canzoni, che sono un po’ figlie di una “terra di mezzo”. L’elemento terra ritorna spesso nel disco, anche in titoli come “terra dei miracoli” e nel finale “questa è la mia terra”, e l’idea dei fiori come prodotto della terra mi sembrava potesse aiutare a vedere queste canzoni non come un tentativo di ripiegare su stessi, ma anzi come l’esatto contrario, una sorta di reazione all’immobilismo.

Ad un primo ascolto l’album sembra un discorso amoroso, con tutte le sue sfaccettature. Che cosa ti ha fornito l’ispirazione per i testi?
Mi piace molto questa interpretazione, in effetti il testo di molte canzoni si sviluppa come fosse un dialogo, ma non solo di natura amorosa e in alcuni casi ho volutamente lasciato una certa ambiguità nel definire se il dialogo fosse tra due persone o si trattasse di una dialettica interna a un personaggio. In “cose semplici”, per esempio, si tratta più di una sorta di dialogo immaginario tra un adulto e il suo se stesso bambino. Per la scrittura dei testi ogni canzone ha la sua storia e gli stimoli possono venire da qualsiasi direzione. Credo che molti brani rappresentino il tentativo di reagire al generale senso di ansia e di assopimento che si è respirato nella nostra società negli ultimi anni.

Le musiche alternano un ritmo dolce pop-rock e suoni acustici. Che cosa ti ha portato a seguire questo tipo di sonorità?
Tutte queste canzoni sono nate dalla chitarra acustica. Ho seguito direttamente la produzione artistica, anche se con l’aiuto di diverse collaborazioni, e quindi le sonorità del disco sono il risultato di una ricerca che è durata un paio d’anni e che mi ha portato a usare anche strumenti nuovi per me, come l’armonio indiano, ma soprattutto con una maggiore presenza di chitarre elettriche.

Hai riascoltato l’album una volta finito? Che cosa ti ha comunicato?
Una grande soddisfazione, mi piace molto e non ero sicuro di riuscire a finirlo.

Cosa vorresti comunicasse agli ascoltatori?
Mi piacerebbe che queste canzoni comunicassero una voglia di “risveglio”, in tutte le sue possibili accezioni. 

Quando hai deciso di diventare musicista?
Si decide o è un po’ come una malattia incurabile? A dodici anni ho imbracciato per la prima volta una chitarra e da allora la musica è stata una parte fondamentale della mia vita.

Quali dischi hanno influenzato di più il tuo modo di pensare la musica?
Molto difficile parlare di influenze dirette, provo ad accostarmi ad ogni genere e sono diventato un ascoltatore un po’ dispersivo. Ascoltare una bella canzone ti fa venire voglia di scrivere. “Solo un temporale” è venuta fuori dopo aver ascoltato un brano di Capossela.


Quali libri hanno influenzato, invece, il tuo modo di vedere la vita?
Sono sempre stato un lettore abbastanza vorace e i libri che mi hanno cambiato sono tantissimi. Ultimamente diversi scritti su teorie di fisica (a livello molto divulgativo) e sulla psicologia di Jung mi hanno colpito molto.

Cosa è per te la musica?
La musica per me rappresenta le ali che ho scelto per volare.

Occidente


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